06. L’esercizio del pensiero


L’esercizio del pensiero

Credo che a questo punto sia proprio il caso di aprire una parentesi su qualcosa in merito a cui forse vorresti interrogarmi: cos’è un esercizio del pensiero? Cosa si intende con questa espressione?

Anzitutto vorrei chiarirti cosa è il pensiero. Esso può essere definito come una trasduzione in codici linguistici di dati di fatto acquisiti dalle seguenti fonti:

a) dati sensoriali esterni;

b) dati sensoriali corporei;

c) rappresentazioni sensoriali interiori in assenza fisica dei corri-spondenti oggetti (quindi immagini mentali, rappresentazioni acustiche, olfattive, ecc.);

d) dati concettuali provenienti dalla memoria.

Sulla base di questi input, la corteccia prefrontale elabora un pensiero che può essere una semplice costatazione (giudizio) oppure un’intenzione di cambiamento (volontà).

Il pensiero quindi (da tenersi ben distinto dalle attività di immaginazione che utilizzano rappresentazioni sensoriali, con le quali il pensiero stesso può peraltro essere associato) è niente più niente meno che l’attività linguistica che però la mente rivolge a se stessa, senza bisogno di passare per l’apparato di fonazione.

Tieni presente che la logica di funzionamento della mente è concettualmente simile a quella del corpo; solo che mentre il corpo ha i muscoli, la mente ha i pensieri. E mentre i muscoli producono un lavoro biomeccanico, i pensieri producono un lavoro bioelettrico. Perché si esercitano i muscoli? Evidentemente perché riescano a produrre un lavoro meccanico sempre maggiore. E perché si esercitano i pensieri? Perché riescano a muovere emozioni e comportamenti via via più duri da muovere. In altre parole, i segnali biolettrici movimentati dal pensiero, se sono efficaci, modificano le risposte emotive e possono indurre comportamenti dapprima difficili, se non apparentemente impossibili.

Facciamo un esempio. Se devi trascinare un mobile, ti piazzi bene e lo trascini mediante l’applicazione della tua forza muscolare. Supponiamo che invece non devi trascinare un mobile ma ti serve il coraggio di fronte ad una situazione. Certamente non lo puoi prendere, non puoi certo utilizzare la forza muscolare per averlo! Lo devi invece pensare: il pensiero Voglio avere coraggio! esercita la corrispondente qualità.

Un corretto esercizio del pensiero si svolge attraverso le seguenti tappe:

1) Identificazione di un problema. Ad es. di fronte a quella situazione sto male perché mi avvilisco.

2) Identificazione delle cause (non sempre è subito possibile comprenderle e non sempre è possibile comprenderle del tutto ma si può procedere lo stesso). Ad es. perché torna a galla la mia vecchia paura di essere un incapace.

3) Identificazione della risposta desiderata. Mi sta bene avvilirmi? Oppure vorrei da me stesso un’altra risposta? Quale? Beh, io di fronte a questa situazione vorrei essere uno che non si scoraggia, uno che mantiene la testa alta, che non ha paura di sbagliare o di fallire e che si mantiene rilassato anche se c’è da impegnarsi a fondo.

4) Condensazione della risposta in una formula secca e breve. Perché? Perché quando si esercita la mente bisogna essere estremamente perentori e sintetici. I lunghi ragionamenti hanno senso solo come riflessione preliminare ma poi, all’occorrenza, devono diventare comandi secchi, di poche parole. Per proseguire l’esempio di qui sopra, mettiamo che la parola determinazione esprima ai miei occhi l’atteggiamento che vorrei tenere nella situazione temuta. Allora strutturo una formula così fatta: Voglio viverla con determinazione, e comincio a ripeterla nella mente concentrandoci tutta l’attenzione e la forza di cui sono capace.

5) Se a tale reiterazione di pensiero associo un’immagine che la rafforzi, è meglio. Nell’esempio effettuato, nel ripetermi “Voglio vivere con determinazione!” posso raffigurarmi ma stesso con quell’espressione decisa, determinata che a me piace mostrare nei confronti di certe circostanze. In questo modo, l’esercizio acquista di forza.

Una parentesi. Le parole, le espressioni, nascono per esprimere realtà ben precise e sono all’inizio collegate con quelle realtà. Così, ad esempio, la parola coraggio (nelle sue infinite versioni linguistiche originarie) è nata per esprimere un preciso atteggiamento della coscienza che tutti capivano al volo. Oggi, con l’avvento dei media, con l’intellettualizzazione e con l’iperutilizzo del linguaggio, questa e migliaia di altre parole finiscono con il vivere di vita propria. In altri termini, ci siamo tutti abituati ad usare termini ed espressioni di cui non percepiamo più il vero significato. Così, ad esempio, tutti usano l’espressione Sta’ calmo ma quanti sanno veramente cosa significa la calma in certe situazioni? Pochissimi! La maggior parte delle persone dice Sta’ calmo ma non si rende conto di cosa veramente significhi perché il nostro linguaggio è diventato superficiale ed ha perso il contatto intimo con i suoi significanti. Così si parla di “amore”, di “fedeltà coniugale”, di “necessità di essere se stessi”, di “non dipendere dagli altri”. Ma chi si chiede sul serio cosa davvero intende per amore? Chi ha mai provato a definire l’infedeltà coniugale? (Basta solo pensare ad un altro per essere infedele? E per quanto tempo? Oppure lo devi incontrare? O lo devi baciare? Per quante volte? O ci devi andare a letto? E così via dicendo). Il risultato è che il pensiero perde di forza, perché perde di contenuto preciso e consapevole.

Ecco allora uno degli obiettivi dell’esercizio del pensiero. Ritornando all’esempio del coraggio, se nelle situazioni che lo richiedono hai la costanza di ripeterti mentalmente e verbalmente Voglio avere coraggio, se riesci a concentrare efficacemente il pensiero su questa frase, piano piano riscopri l’essenza, il significato del concetto di coraggio. In altre parole, l’espressione che viene mentalmente reiterata, piano piano si ricollega al suo significato originario, acquista corpo, crea consapevolezza. E finisci con il capire cosa davvero significa avere coraggio.

Se sei costante, esercitando un pensiero esso si sviluppa come se fosse un muscolo. Arriverà il momento in cui esso sarà parte integrante del tuo assetto mentale.

Ma stai attento, devo rimarcare proprio quest’ultimo concetto. La costanza di cui necessita un esercizio, la determinazione quasi rabbiosa occorrente perché un pensiero prenda piede nella tua mente, è qualcosa di cui non senti parlare facilmente sui libri, in TV o nella rete. Tutti si prodigano in consigli e sbandierano sistemi e metodi di crescita e di guarigione. C’è una pletora di psicologi, orientalisti, medici alternativi, sensitivi, eccetera. Mi sta tutto bene, ma quasi mai sento mettere un serio accento sull’unica verità certa: per cambiare occorre fatica, esercizio. Bisogna tenacemente ripetersi pensieri alternativi e dar loro forza. Solo così si viene a capo di qualcosa.

Vedo invece persistere una mentalità che dura da quando è iniziato il mondo. Eva, nel mangiare la sua fatidica mela, cercò un atto magico che, all’istante e senza fatica, la elevasse dalla sua condizione. Sappiamo come andò a finire ma non ne abbiamo per niente fatto tesoro. Continuiamo a proporre e cercare soluzioni magiche e passive. E così si sentono frasi del tipo: Ho fatto dieci sedute di psicoterapia con il Dott. Tal dei Tali e non mi ha fatto niente! Come se la psicoterapia fosse una sorta di esposizione ad una parola che ti guarisce magicamente! Oppure frasi del tipo Io non ci credo nella psicoterapia… come se la psicoterapia fosse una sorta di verità rivelata in cui si può aver fede o meno, e non semplicemente un metodo per esercitare la mente che funziona se lo fai funzionare!

Ah, un’altra cosa. Sono abituato a sentirmi chiedere, di fronte a problemi come l’ansia, la depressione, l’ossessione, eccetera, cose del tipo: Ma in pratica che devo fare? Oppure: Mi dia un metodo, lei me lo prescrive ed io lo seguo! Oppure: Ho bisogno di qualcosa di concreto, devo sapere come muovermi!

Ebbene frasi di questo tipo, nascondono per lo più fantasie che io chiamo da procedura di restauro. Sì perché è come se mi chiedessero come si restaura un mobile ed io dovessi risponder loro: Prima lo scartavetri, poi lo lavi con la soda, poi fai i lavoretti di falegnameria, poi gli dai l’impregnante… eccetera.

È vero che esiste un preciso orientamento di psicoterapia, quello comportamentista classico, che lavora soprattutto sul comportamento e si propone di aiutare il soggetto a guarire facendogli fare piano piano, secondo una scala crescente di difficoltà, quello che egli teme. L’idea è che, affrontando il problema sul piano concreto, prima mediante tecniche immaginative (pensare semplicemente alla situazione temuta e rimanere calmo), poi cominciando ad esporsi per gradi alle situazioni temute o comunque problematiche, la persona acquista fiducia e la psiche si ristruttura automaticamente sui pensieri giusti.

Ma questo non sempre accade e non sempre è di possibile applicazione. Quando si parla di cose della mente, spesso non ti risolvi con procedure comportamentali e devi lavorare a monte, sui pensieri che precedono i comportamenti; e questa è un’attività cui non siamo abituati, che di prim’acchito sfugge. Occorre dunque perseveranza e comprendere che l’esercizio del pensiero è qualcosa di altrettanto pratico dell’esercizio muscolare o della prescrizione comportamentale.

Ed ora, detto questo, vorrei continuare ad esporre i fondamentali esercizi che sostanzialmente qualsiasi Personalità dovrebbe effettuare. Le abilità, cioè, che costituiscono il fondo della psiche, l’ABC dell’attività mentale. Ti ricordo che quelli che abbiamo finora preso in considerazione sono:

1) Io non sono il mio sentire (emozioni, ecc.). Sono l’Ego che lo recepisce.

2) Non voglio farmi turbare dal mio sentire. Io, se voglio, posso vivere qualsiasi cosa.

3) Voglio amare il mio sentire; sentirlo come una manifestazione viva della mia energia interiore.

Pubblicato on 20 marzo 2010 at 06:19  Commenti disabilitati su 06. L’esercizio del pensiero